dirà che n’è stato scritto abbastanza; e specialmente dal Tiraboschi
e dal Ginguené.1 Io le risponderei ch’Ella saprà tirar fuori delle cose
pellegrine e da altri non dette, e che con questa giunta sua questo
Petrarca nostro potrebbe servire non solo per le donne e pei forestieri,
ma anche per quelli che sono, o si credono letterati. Tale lavoro, qua-
lora Ella ne fosse persuasa, potrebbe farlo con tutto il suo comodo,
e lungo poi, o breve, come più le piacesse. Per tal via, Ella potrebbe
dare qualche graziosa sferzata a’ saputelli e poetini de’ nostri giorni,
come è colui che mi scrisse da Torino,2 il cui paragrafo di lettera
riguardante il Petrarca troverà qui appresso trascritto. Potrà anche dir
qualche cosa intorno a quelli che non credono essere la lingua del
Petrarca antica ed oscura. E in tal proposito Ella troverà qui appresso
trascritto anche un paragrafo di lettera del padre Cesari.
Dopo tutto questo Ella farà quello che stimerà meglio. A me basta
ch’Ella m’ami come io l’amo
Il suo cord."10 am.co e serv.
Ant. Fort. Stella
Paragrafo ia Lettera senza data da Torino:
«Non posso a meno di dirgli che quella Operetta del Petrarca colle
Note mi par cosa inettissima; e degna appena di esser letta da uno
scolaretto sgusciato dalla Grammatica. Io amo che un interprete
mi svisceri i pensieri dell’Autore che ha per mano, e non già che mi
condanni alla galera dei generi, numeri e casi come si farebbe ad un
quartano. » -
Paragrafo di lettera del padre Cesari - 8. Luglio 1826 - Verona -
«Rileggo il Petrarca del conte Leopardi. Egli osserva molto la sua
promessa di dar la cosa ad usum Delphini: tocca e spiega le parole ed
il senso assai bene. Ma diavolo! la lingua del Petrarca antica ed oscura?
Non l’avrei voluto udire da tal uomo che io amo ed onoro.»
Signore ed Amico pregino e carissimo
Un lungo silenzio è succeduto tra noi all’ultima mia. Ella sarà
stata certamente occupata, ma io non credo perciò raffreddata