cazzo di medicamenti, come volevano a ogni patto, ed essere
stato in letto quanto m’è parso bene, che non la volevano in
corpo. Addio addio, ch’è ora di pranzo, e andremo a sentirne
delle belle, secondo il solito.
515. |
A PlERFRANCESCO LEOPARDI. |
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Caro Pietruccio
Mi fate tanti ringraziamenti1 per una bagattella tale com’è
quella ch’io vi mandai, che resto quasi obbligato io medesimo
a ringraziarvi. Avevo saputo che vi siete fatto un bravo scrit-
tore, benché la prima volta che mi scriveste, non ci volessi cre-
dere; ma non sapevo che foste diventato poeta. Baciate la mano
per me all’Apollo che v’ha ispirato,2 e ditegli che tutti noi
stiamo benissimo. Baciate ancora la mano alla Mamma, e dite-
gli che il Zio Carlo la saluta tanto, e si chiama confuso del suo
biglietto. Salutate i fratelli, vogliatemi bene, e divertitevi que-
sti ultimi giorni di carnevale. Addio.
Caro Buccio. Tu mi credi innamorato di Clorinda, ma t’inganni.
A innamorarsi senza innamorare non c’è nessun gusto: ora tu devi
sapere quanto è difficile innamorare una donna che calca il teatro anche
per la prima volta. Per due soli mesi poi sarebbe fatica gettata, non
essendo di quelle con cui è bene spesa anche per una sola notte.
L’avremo qui di nuovo nel Carnevale futuro. Ma tu abbi miglior con-
cetto e della mia fedeltà, e del mio sangue freddo: persuaditi che alla
prima non voglio mancare che in apparenza. Per finire quest’insulso
proposito ti dirò che l’articolo mandato da Conti trovò posto nel Cor-