di più al mondo, dammi presto di tue nuove; dimmi di te, di Carlo, di
Paolina; e più lungo che puoi. Non mi dire che mi vuoi bene, se ciò
ti toglie troppo tempo: io già sento che un cuore egregiamente buono
come il tuo ama necessariamente chi lo ama. Dimmi come è stato pos-
sibile, che amandomi abbi taciuto 4. mesi. Compensami di tanto silen-
zio: voglimi sempre bene; sai ch’io ti amo come una cosa preziosa e
santa. Dimmi che cosa stai studiando o scrivendo. Addio carissimo
Giacomino: stupisco di me stesso, che sì stanco di tutto il mondo io
possa amarti con tanto fervore. Addio addio.
574. |
A Giuseppe Melchiorri. |
|
Recanati 14 Luglio [1823] |
Caro Peppino. Torto a me, anzi torto alle maledette poste,
perch’io risposi subito alla tua dei 24 Maggio, e quella mia let-
tera non ti giunse.1 Dalla tua de’ 24 Maggio in poi, non ho
avuto altro da te, se non quest’ultima dei 9 corrente. Quella
che dici avermi scritta e consegnata al vecchio di De Romanis,
e il piego che dici essermi stato spedito, non mi sono mai capi-
tati, e non so dove m’abbia a rivolgere per riscuoterli. In verità
il nostro ottimo De Romanis poteva usarmi la buona grazia
almeno di far consegnare quel piego da parte sua, e non da parte
di quel povero vecchio, al quale nessuno porta rispetto. E così,
se il piego è andato a male colla parte del manoscritto che v’era,
la storia è finita, perchè se agli stamponi si può supplire, al mano-
scritto non si supplisce più, non avendone io alcuna copia.
Almeno, vi prego, fatevi dire da quel buon vecchio il nome del
vetturale che doveva portare il piego, acciò ch’io possa farne
qualche ricerca. Se non sa neppure il nome, felice notte.
E chiarissimo che Mons. Mai ha pubblicato il frammento
di Libanio, o per fare un dispetto a me, o sapendo di certo che
col pubblicarlo, lo levava di mano a me che già l’aveva tro-
vato/ Pazienza per ora. Potrà dire ch’egli non è stato il primo
a darmi fastidio, e in questo non avrà il torto.