1957. |
A Monaldo Leopardi. |
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Mio caro Papà
Non ho mai ricevuto riscontro a una lunga mia di Decem
bre passato,1 nè so con chi dolermi di questo, perchè la nostra
posta è ancora in tale stato, che potrebbe benissimo trovarvisi
da qualche mese una sua lettera per me, e non essermi stata mai
data. Io, grazie a Dio, sono salvo dal cholèra, ma a gran costo.
Dopo aver passato in campagna più mesi tra incredibili agonie,
correndo ciascun giorno sei pericoli di vita ben contati, immi-
nenti, e realizzabili d’ora in ora; e dopo aver sofferto un freddo
tale, che mai nessun altro inverno, se non quello di Bologna,
io aveva provato il simile; la mia povera macchina, con dicci
anni di più che a Bologna, non potè resistere, e fino dal princi
pio di Decembre, quando la peste cominciava a declinare, il
ginocchio colla gamba diritta, mi diventò grosso il doppio del
l’altro, facendosi di un colore spaventevole. Nè si potevano con
sultar medici, perchè una visita di medico in quella campagna
lontana non poteva costar meno di 15 ducati. Così mi portai
questo male fino alla metà di Febbraio, nel qual tempo, per l’ec-
cessivo rigore della stagione, benché non uscissi punto di casa,
ammalai di un attacco di petto con febbre, pure senza potere
consultar nessuno. Passata la febbre da se, tornai in città, dove-
subito mi riposi in letto, come convalescente, quale sono, si può
dire, ancora, non avendo da quel giorno, a causa dell’orrenda
stagione, potuto mai uscir di casa per ricuperare le forze con
l’aria e col moto. Nondimeno la bontà e il tepore dell’abitazioni-
mi fanno sempre più riavere; e il ginocchio e la gamba sì pol-
la stessa ragione, sì per il letto, e sì per lo sfogo che l’umore
ha avuto da altra parte, sono disenfiate in modo, che me ne
trovo quasi guarito.
Intanto le comunicazioni col nostro Stato non sono riaperte,
e fino a questi ultimi giorni, ho saputo dalla Nunziatura che