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Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/168

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ANNO 1817 • LETTERE 84-85 135 governo; e poi anche por timore di alcuni che forse io studiando potessi divenir qualche cosa. Parve dunque bene togliermi e riputazione, e pane, di che allora bisognavo, e senza che non si può studiare. Era veramente cosa da disperarsi, di tanto crudele ingiustizia; perché sebbene io eia un ignorantello (e che potevo esser di più in quella età, colla poca salutie tanti impedimenti che sino allora avevo avuti a studiare?), avevo pelò quanto bastava a far molto buona figura, e parere molto pili valente di tutti gli asini che mi perseguitavano, cominciando dall’asinissimo ministro dell’interno. 11 mio raro e prezioso amico il marchese di Montronu mi t rasse a fare e pubblicare quel Panegirico: e in quella occasione, come resistere alla tentazione di confondere i miei caluimiatori, tanto facili ad essere confutati? Mi proposi dunque che quella scrittura divenisse testimonio di quel che sapevo; e potesse ai futuri dar indizio di quanto si sapeva dal nostro secolo. Al’ingegnai bene che ogni cosa o erudita o scientifica avesse buona cagione di starvi; o come prova c confermazione delle mie proposizioni, o almeno come illustrazione o come ornamento non imitile. Ma poiché la vera origine era pure uno sdegno ambizioso, non è maraviglia che pur l’originale peccato vi si scorga. Vero è che se guastai il lavoro, feci compita la mia vendetta; poiché quel lago di pedanteria rovesciato sulle teste dei calunniatori, li ammutolì; e mai più credettero di potermi accusare d’ignoranza. Ma è anche vero che questa vittoria niente giova. Ogni volta che si presenta un noni nuovo su questo mondo, e cerca di prendervi un posto (non trovandosel giù preparato da’ suoi maggiori, come hanno per fortuna i figli de’ nobili e de’ ricchi), tutti gli gridan contro; e gridano che è un minchione. A ciò si può risponder facilmente: si mette fuori un libro, una statua, una pittura, una macchina; e si prova il contrario. Ma non basta. Sopita l’accusa di minchionaggine, sorge quella di tristizia; alla quale è più difficile il rispondere. Perché tutto ad un tratto potete convincere il publico che sapete far qualche cosa. Ma come si arriva a persuadere ad uno ad uno molti uomini che siete galantuomo? lo poiché non volli accettare quel bel decreto di asinità, e tutta quella potenza non poté sostenerlo, divenni poi un uomo di opinioni cattive e di umore bisbetico. Questa seconda persecuzione ha continuato a danni qualche molestia; finché son giunto a questa presente beatitudine; la quale né togliermi per dio né turbarmi potrebbero non solo i nemici, ma neppure gli amici. Avete le opere di Torquato Tasso? avete lotte le sue prose? leggetele, per amor mio, e per vedere il meglio che io conosca di italiana eloquenza. Ma non tutte; ché vi sono insopportabili noie in quelle sue spinosissime seccature e tenebre peripatetiche. Tutte quante le lettere però, il Dialogo dd Padre di famiglia, la lettera a Scipione Gonzaga sopra vari accidenti della sua vita, la Risposta di Roma a Plutarco, desidero vivamente che le leggiate: e desidero di sapere come le avrete gustate. Oh. bisogna finire queste ciancie; e finisco abbracciandovi affettuosissima mente; e pregandovi che seguitiate ad amarmi e a scrivermi. Addio carissimo Contino: v’amo con tutto il cuore. 85. Dello stesso. Piacènza 6 Novembre [1817], Mio caro Contino. L’altro di risposi lungamente con una 1 alle vostre 2(5 settembre e 10 ottobre, scusando la tardanza. Ieri ho avuta la 1 È la procedente.