Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/184

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ANNO 1817 - LETTERE 91-95 151 che salutiate da mia parte il nostro caro Mai. Della traduzione 1 di cui mi domandate, nondum matura res est, io non dico dell’opera che né meno è cominciata, ma del pensiero; laonde non ve ne posso dir nulla, non essendo pure ben risoluto di quello che tradurrei. E in oltre mi pare d’essermi accorto che il tradurre cosi per esercizio vada veramente fatto innanzi al comporre, e o bisogni o giovi assai per divenire insigne scrittore; ma che per divenire insigne traduttore convenga prima aver composto ed essere bravo scrittore; e che insomma una traduzione perfetta sia opera più tosto da vecchio che da giovane. Si che vedete che non sono manco ben certo se tradurrò. Il trattato cominciato e poi piantato, era degli errori ‘popolari degli antichi; intorno ai quali ho un tomo di materiali accozzati qualche anno fa: ma questo è poco o nulla, perché quasi mi dovrà essere più difficile lo scegliere che non fu l’accumulare. Del trattato proprio non ho scritto altro che poche carte.2 Séguita la difesa di Giacomo Leopardi accusato di politica ragazzesca verso un amico. Io non so veramente come domine vi sia potuto cascare in testa di mettervi in parata per una frase innocentissima ch’io aveva usata né più né meno per significare il tempo in cui avea segnate quelle cosucce ne’ vostri articoli. Mettetevi un poco ne’ miei panni e siate contento di dirmi come avreste scritto voi per esprimere questo tempo. Quando io non vi conosceva, no, perché di persona né anche adesso vi conosco, di fama e di scritti anche allora vi conosceva. Quando io non v’amava, né pure, perché 1 È la «solenne traduzione» con la quale G. voleva «uscire in campo >■, e di cui fa cenno nella lett. 91. Tengo por certo che fosse quella di tutta l’Odissea o quella di Platone, tante volte inculcategli dallo zio Antici; sebbene, come qui dichiara, G. non avesse ben risoluto quale delle due preferire. Ma non ostante che l’Antici tornasse poco dopo, il 1° aprile’18, a ribattere il chiodo della «magistrale» traduzione, e non ostante che G. verso il maggio successivo si fosse deciso per l’Odissea, in realtà non ne fece più nulla; neanche dopo le trattative avviate in Roma col De Romania per la traduzione di Platone; forse perché vinto dalle ragioni che qui espone all’amico. 2 Allude a un rifacimento o rimpasto del vecchio trattato scritto nel ’15 (efr. lett. 20, p. 42, nota 2 e 91, pp. 143-44) e qui definito come un’accozzaglia di materiali, sebbene l’avesse pure inviato allo Stella per la stampa. Venuta a mancare questa stampa, forse per qualche giudizio non del tutto favorevole di chi, incaricatone dallo Stella, aveva esaminato il ms., G. persuaso ormai da se stesso che cosi com’era, e per la materia e per la forma, il trattato non potesse andare, e pur non volendo che fosse del tutto perduta tanta sua fatica, aveva pensato di rifarla su nuove basi, col dare la prevalenza all’arte e alla filosofia piuttosto che all’erudizione; e aveva di fatti intorno a questo tempo cominciato a scrivere, con istile più nobile e lingua più pura, un certo numero di carte che conservò, e oh’io, trovatelo tra gli autografi della Biblioteca Nazionale di Napoli sfuggiti alla Commissione governativa, ho pubblicate in Pègaso (fase. 11 del novembre’32). Se non che G. si fermò ad esse; e non andò più avanti col nuovo Trattalo.