Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/33

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tura,1 lo faccio colla stessa animosità, colla quale solea farlo negli anni trascorsi. Crescendo la età crebbe l’audacia, ma non crebbe il tempo dell’applicazione. Ardii intraprendere opere più vaste, ma il breve spazio, che mi è dato di occupare nello studio,2 fece che laddove altra volta compiva i miei libercoli nella estensione di un mese, ora per condurli a termine ho d’uopo di anni.3 Quindi è che malgrado le mie speranze, e ad onta del mio desiderio, non mi fu possibile di terminare veruno di quelli, che mi ritrovo avere comin-

    affetto tenero e grato, e dall’avere per lui un rispetto non mentito, come apparve precipuamente in alcune notevoli circostanze della sua vita. E questo affetto gli fu ricambiato ad usura dal padre, non ostante la distanza che ormai lo separava dal figlio.
         Dopo aver dato l’opera sua efficace a reggere il governo del Comune, ritraendone più delusioni e amarezze che soddisfazioni, forse a causa di quel suo spirito autoritario ed esclusivo, Monaldo continuò negli ultimi anni alacremente i suoi prediletti studi, specie nel campo della storia regionale e comunale, conducendo assai innanzi il più importante di tutti i suoi lavori, quello degli Annali recanatesi; e nello stesso tempo non cessò d’interessarsi alle vicende politiche, e a combattere per la «buona causa», sia con pubblicazioni polemiche (la più celebre di tutte furono i Dialoghetti), sia con lo scrivere nei giornali; anzi, per aver la mano del tutto libera, fondò e scrisse quasi da solo La Voce della Ragione, dove dal 31 maggio ’32 per circa quattro anni esercitò un’arditissima foga polemica non solo contro i dichiarati avversari, ma spesso anche contro quelli del suo medesimo partito, e toccando perfino i più alti papaveri; al punto che dovette vedersi sospeso il giornale e sentirsi tagliata la lingua. Dopo la morte del figlio Luigi nel ’28, dopo il matrimonio di Carlo nel ’29, da lui invano avversato, dopo la morte di Giacomo nel ’37 che, avendo coinciso con la fuga di Pierfrancesco dalla casa paterna, recò al cuore del padre una doppia simultanea ferita, parve che la famiglia Leopardi avesse a godere, con le bene auspicate nozze di Pierfrancesco e di Cleofe Ferretti, un periodo di pace e di serenità. E di questo periodo si avvantaggiarono gli ultimi anni di Monaldo; il quale, costretto all’inazione della penna e già minato dal male che doveva spegnerlo, fu tuttavia confortato dal vedere il suo patrimonio interamente ricostruito mercé l’inflessibile regime economico della moglie, dall’affetto di Pierfrancesco e della nuora, dall’assistenza continua di Paolina, dalla gioia dei nipotini. Ma questa tregua non fu di lunga durata: cessò con la morte di Monaldo nel 1847; alla quale dovevan seguire a breve intervallo nuovi lutti, e con essi la desolazione e il silenzio nel vasto e severo palazzo comitale. — Vedasi specialmente l’Autobiografia di Monaldo Leopardi, completata e illustrata da Alessandro Avòli, Roma, Befani, 1883.

  1. Intende quella di non potere in quest’anno offrire al padre nessuna produzione letteraria, come n’era invalso l’uso in casa Leopardi.
  2. Forse vuol dire dello «studio libero», a differenza dello «studio scolastico» che gli assorbiva la più parte della giornata.
  3. Le produzioni, meno vaste ed audaci, compiute fin qui dal prodigioso fanciullo, possono vedersi elencate da lui stesso in un Indice, pubblicato in Scritti vari inediti di G. L. dalle carte napoletane (Firenze, Lo Monnier, 1910), e meglio ancora tra i Nuovi documenti intorno agli scritti e alla vita di G. L., raccolti e pubblicati da Giuseppe Piergili, 3ª ediz. (Firenze, Success. Le Monnier, 1892). Quelle che gli avrebbero richiesto non un mese ma anni, e che ora andava concependo, sono specialmente i lavori di carattere erudito e filologico.