Pagina:Leopardi - Operette morali, Gentile, 1918.djvu/423

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ir • - 359 — cui voce mi pareva di udire dopo tanto tempo. E io quel momento dando uno sguardo alla mia condizione passata, alla quale ero certo di ritornare subito dopo, com’ è seguito, m'agghiacciai dallo spavento, non arrivando a comprendere come si possa tollerare la vita senza illusioni c affetti vivi, e senza immaginazione ed entusiasmo ; delle quali cose un anno addietio si componeva tutto il mio tempo, e mi facevano coti beato, non ostante i miei travagli. Ora sono stecchito e inaridito come una canna secca, e nessuna passione trova pili l’entrata di questa povera anima, e la stessa onnipotenza eterna e sovrana dell’ amore è annullata a rispetto mio nell’ età in cui mi trovo ». Dovette aspettare fino all' aprile 1828 per accorgersi che « nell' intimo del petto | Ancor viveva il cor», sentendosi ridestare nell'animo l'antico affetto. Vedi il Risorgimento. Pag. 244,2 - Post. marg. autogr. « Enti razionali: CRUSCA, in Entità ». Pel concetto cfr. la Storia del genere umano, pag. 19 sa. Pag. 245, 15 - Cfr. Elogio degli uccelli, pag. 216. Il 18 giugno 1821 scriveva al Giordani : « Ma dimmi : non potresti tu da Eraclito convertirmi in Democrito ? La qual cosa va pure accadendo a me. che la stimava impo«- sibilissima. Vero è che la disperazione si finge sorridente Ma il riso intorno agli uomini ed alle mie stesse miserie, al quale io mi vengo accostumando, quantunque non derivi dalla speranza, non viene però dal dolore, ma piuttosto dalla noncuranza, eh’ è l’ ultimo rifugio degl’ infelici soggiogati dalla necessità, collo spogliarli non del coraggio di combatterla, ma dell ultima speranza di poterla vincere, cioè la speranza della morte ». Pag. 248,8 - Post. marg. autogr.: «Vincere la questione: BOCCACCIO, nov. 16 delle Trenta scelte ». Pag, 249, 5 - Il 6 marzo ’20 scriveva al suo Giordani : « Questa è la miserabile condizione dell’ uomo, e il barbato insegnamento della ragione, che, i piaceri e i dolori umani essendo meri inganni, quel travaglio che deriva dalla certezza della nullità delle cose sia sempre e solamente giusto e vero. E se bene regolando tutta quanta la nostra vita secondo il sentimento di questa nullità finirebbe il mondo, e giustamente saremmo chiamati pazzi, in ogni modo è formalmente certo che questa sarebbe una pazzia ragionevole per ogni verso, anzi che a petto suo tutte le saviezze sarebbero pazzie, giacché tutto a questo mondo si fa per la semplice e continua dimenticanza di quella verità universale, che tutto è nulla. Queste considerazioni io vorrei che facessero arrossire quei poveri filosofastri che si consolano delio smisurato accrescimento della ragione, e pensano che la felicità umana sia riposta nella cognizione del vero, quando non c’ è altro vero che il nulla ; e questo pensiero, ad averlo continuamente nell’ animo, come la ragione vorrebbe, ci dee condurre neces sanamente e dirittamente a questa disposizione che ho detto —