Pagina:Leopardi - Operette morali, Milano 1827.djvu/107

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esperienza delle.sciagure e degli uomini, e die ora io piango tante volte per morto. In vero, io direi che Y uso del mondo, e l’esercizio dei patimenti, sogliono come profondare e sopire dentro n ciascuno di noi quel primo uomo die egli era: il quale di tratto in tratto si desta per poco spano, ma tanto più di rado quanto è il progresso degli anni; sempre più poi si ritira verso il noatro intimo, e ricade in maggior sonno di prima; finché durando ancora la nostra vita, esso muore. In fine, io mi maraviglio come il pensiero di una donna abbia tanta forza, da rinnovarmi, per'così dire, l’anima, e farmi dimenticare tante calamità. E se non fosse che io non ho più speranza di rivederla, crederei non avere ancora, perduta la facoltà di esser felice. oen. Quale delle due cose stimi che sia più dolce: vedere la donna amata, o pensarne? tas. Non so. Certo che quando mi era presen* te, ella mi pareva una donna; lontana, mi pareva e mi pare una dea. oen. Coteste dee sono così benigne, che quando alcuno vi si accosta, in un tratto ripiegano la loro divinità, si spiccano i raggi d'attorno, e se ii pongono in tasca, per non abbagliare il mortale che si fa innanzi. tas. Tu dici il vero pur troppo. Ma non ti pare egli questo, up gran peccato delle donne; che alla prova, elle ci riescano cosi diverse da quelle che noi le immaginavamo? cen. Io non so vedere che colpa s’ abbiano in