Pagina:Lettere (Andreini).djvu/135

Da Wikisource.

LETTERE

mi giova, ch’io prometta, e giuri à me stesso, di lasciar infallibilmente questa ingrata, se non posso farlo? Ohime, che non sì tosto io lascio, vinto dallo sdegno di mirar quegli occhi, che son cagione del mio tormento, ch’io m’adiro, e rompendo le promesse, & i giuramenti, corro di nuovo à chi mi fà sospirare. Tal forza, e tal virtù hanno quegli occhi, che m’attraggono in guisa, ch’io son’astretto mal mio grado à mirargli, e benche in essi non vegga alcun’inditio di speranza, nondimeno son condannato ad amarli, e son certo, che amandoli, amo gli ucciditori della mia vita. Hor V. S. ha inteso, com’io mi viva. Sò, che le sarà discaro il mio essere, com’è stato discaro à me l’intender, ch’ella sia nello stato di prima. La vorrei più tosto sola nel bene, che compagna nel male. Le bacio le mani desiderandole quell’istesso contento, ch’ella desidera à me.


Simili.


I

O sò bene, che amandovi crudelissima donna, sperar non posso d’allegierir i miei tormenti, nè servendo posso attenderne alcuna mercede, con tutto ciò non posso rimanermi d’amarvi, e di servirvi, così vò continuamente seguendo quel che mi nuoce, e m’offende, e tanto son’internato nel mio male, e tanto par ch’i’ me ne compiaccia, che potendo aiutarmi non vorrei. Hor, se un’anima in amor non finta, una fede non falsa, un desiderio, non


men’ho-