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D’ISABELLA ANDREINI. 109

perdita, e che havete punto la sua morte se non quanto si doveva almen quanto si poteva. Discacciate la tristezza, e lasciate, che la ragione habbia suo luogo considerando, ch’è di necessità il soffrire un mal necessario, e che non ci è modo migliore, per vincer la sorte, che disporsi à voler ciò, ch’ella vuole. Voi fate torto all’amico, & à voi stesso, se volete piangerlo, come si piangon quelli, che vanno interamente ne’ sepolchri, e che non lasciano altro di loro, che le ceneri, e l’ossa. Egli non è morto così, attesoche la sua fama sopravivendo alla sua morte tiene, e terrà sempre animata la sua gloria; e s’egli non vive col corpo, vive con quella parte, che ’l faceva esser huomo, e quello che più importa, che ’l faceva esser il Tasso, alqual conforto potete aggiungere, che se gli honori dati à quelli, che muoiono addolciscono gli affanni de gli amici, che rimangono, il cuor vostro ha grandissima occasione di mitigare, anzi pur di discacciar affatto i suoi tormenti, poiche morte d’alcuno non fu mai tanto honorata di pianti (non di pianti del volgo: ma della nobiltà, e della nobiltà vera ) com’è stata la sua, havendo i più candidi Cigni dopò lui pianto di maniera, che se un Dio (per dir così) fosse morto, non s’havria potuto pianger altramente. Voglio terminar questa lettera sperando, che voi ancora terminerete il dolore, ricordandovi, che morto non si può chiamar il Signor Torquato, essendoche morto non si può dir colui, che alle sue ceneri sopravive. Morte non è altro, che un perpetuo oblio, dunque il Signor Tasso non morirà mai,


Ee          poiche