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D’ISABELLA ANDREINI. 140

tenta del poco non hà mai tanto, che li paia à bastanza, però guardate di non cader in questa infelicità. Contentatevi di quello, che ’l Ciel v’hà dato, ilche dovete fare tanto più volentieri quanto che non poche: ma sufficienti ricchezze possedete. Venite, che di nuovo io v’invito. Lasciate il desiderio della robba, il qual crescendo con l’istessa robba non lascia mai respirar colui, che per sua disgratia l’annida nel seno. Perdonatemi, se così libero parlo, perche, s’altramente i’ facessi, farei torto alla nostra amicitia. Venite, venite mentre che la stagione è così bella à goder meco la silvestre musica di questi uccelli, che cantando benedicono il Cielo. Venite à goder del mormorio soave d’un Fonte, che delle risposte vene d’un Monte uscendo, cade alla pianura. O come godo io vedendo, che per far più vaghi i miei prati se ne vanno quell’acque con torto, e presto passo à spargergli di loro stesse. Talvolta m’allegro nel veder con che dolci lusinghe vezzeggia il Colombo la cara amica mentr’ella hor lo fugge, hor lo segue, come caramente si bacciano insieme, e sussurrando par che dolcemente d’Amore in lor lingua favellino. O che piacere è ’l mio quando ’l Sole da noi partendo và ad albergar con l’ospite suo Oceano godendo la conversatione di queste allegri genti, lequali dalle cure noiose lontane, travagli non conoscono. Fanno tra lor mille giuochi, e mille balli, che terminati al fine concedono alle sicure stanze ritorno, dove ogniuno tranquillamente sin’al nuovo giorno si posa: e per dirvi tutti i miei diletti oltre le caccie, le pescag-


gioni,