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D’ISABELLA ANDREINI. 154

Della morte della moglie.


B

En fu Signor mio senza pari, e senza essempio quel giorno lagrimoso, & infelice, nel quale la mia bella donna (com’io credo hor delitia del Cielo, e com’io sò tormento della Terra) fece da noi partita. Ben fu quel giorno tenebroso, & oscuro principio dell’eterno mio dolore, e fine de gli allegri miei pensieri. Ben fu egli tormento orribile di tutti gli agitati miei sensi. Giorno infausto, che chiudendo gli occhi della mia Donna, in un’eterno sonno apristi i miei ad un perpetuo pianto. Tu solo oscurasti la serenità de miei giorni, tu solo uccidesti le mie speranze, tu solo mi precipitasti da un Cielo di gioie ad un’abisso di pene. O giorno non giorno: ma notte. O notte non notte: ma morte. O morte non morte: ma inferno. A che son’io condotto? oh quanti sospiri, oh quante lagrime, oh quanti singulti, o quante strida mi costa quell’amaro giorno, colpa di cui son fatto (ò carissimo amico) tutto diverso dal mio esser di prima; e non sol son mutato io: ma tutte le cose per me si son mutate, dellequali il dir tralasciando per non noiarvi dirò solo, che ’l Cielo ilqual soleva risponder benigno à miei voti hor nega d’essaudirmi, negandomi il terminar la vita, laquale noiosissima passo in continuo tormento, e non è mai, che ’l sonno mosso à pietà delle mie pene


Qq     2          quelle