Pagina:Lettere (Andreini).djvu/57

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LETTERE

se tutta pietosa sarebbe premio debile, e lieve à tanta lealtà; Io ò mia Signora, non son’insatiabile, nè desidero troppo come scrivete; io non desidero se non quelle cose, che mi si posson concedere, trà le quali principalissima, è parte della gratia vostra, e pur, che m’avvenga, come desidero, d’affissar à mia voglia queste luci nel chiaro Sole della vostra serena faccia, senza che nube di sdegno il mi nasconda, o renda men risplendente, io non mi curo di qual si voglia supplitio, anzi mi contenterò qual Fenice mirando il Sole, nel rogo destinato di finir i miei giorni; è stato favor sì, che vi siate contentata d’accettar la mia lettera; ma voi non l’accettaste con intentione di favorirmi, l’accettasti ben con animo di trafiggermi, e mi trafiggeste con la vostra pungentissima risposta. Non sarebbe prudenza il non amarvi, sarebbe errore, & error grandissimo; e chiunque non ama, e non ammira la vostra bellezza, grandemente erra. Non folle pensiero: ma sano consiglio, mi fece porre all’impresa lodevole di servirvi. Gli essempi, che adducete, d’amanti infedeli, dovrebbono servire per contraposto della mia fedeltà, la quale maggiormente risplendendo rimaner non dovrebbe senza ’l dovuto guiderdone. Quanto hanno le Donne giuditiose à fuggir gli huomini infedeli, tanto hanno à non isprezzar i fedeli, e tanto più quanto ’l Mondo meno n’abbonda. Ahi fiera (perdonatemi) dunque v’aggrada il non ceder alle Tigri di crudeltà? dunque volete più tosto farvi à lor simile per esser crudele, che alle creature dotate di ragione,


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