Pagina:Lettere autografe Colombo.djvu/77

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gate a due difficoltà per noi insuperabili, quella di raccontare fantasticamente fatti di cui la storia ci ha serbato il processo verbale, e quell’altra di popolare il cielo con fredde immagini o di lasciarlo paurosamente deserto. A ciò s’aggiunga che gli avvenimenti della vita di Colombo son dispersi e divisi in tante epoche quanti sono i suoi viaggi; onde riesce quasi impossibile scegliere un unico fatto in cui si raccolgano tutte le fila di un dramma sì lungo e sì vario. Ancora è da notare che un fatto veramente epico deve essere come un monumento isolato in mezzo all’oscurità dei tempi; come un punto di fermata dello spirito umano, senza di che impossibile è trovare una vera conclusione. Ma invece nella storia di Colombo tutto principia e non v’ha cosa alcuna che abbia un fine: la storia dell’America assorbe la storia della scoperta, l’umanità assorbe l’eroe. Appena tentate fermarvi lo spirito si precipita verso le conseguenze grandissime d’ogni fatto che si accenni: nè potete odorare le rose che cingono la fronte della dolce Anacaona senza vedere sopraggiungere nella fantasia i mastini d’Ovando e il rogo infame su cui essa doveva espiare l’amore e l’ospitalità: nè potete parlare d’Haiti o di Cuba senza vedere dietro di essi i vasti imperi degli Azechi e degli Incas e le epiche carneficine e gli scheletri delle morte città obbliate nelle selve deserte, e i negri che alla schiavitù querula e moribonda fanno succedere una schiavitù paziente e forte, la quale aspetta da tre secoli l’ora della libertà o della vendetta.

A questo modo Colombo non ha altro degno riscontro che nella storia d’America e ne diviene sì grande che il quadro ordinario dell’epopea non basta a contenerlo.

Perciò Gioele Barlow, concittadino di Washington Irving e di Prescott, cantò insieme l’America e Colombo; il quale ebbe così il meritato privilegio d’ispi-