portuose, la più ricca natura di suolo, la più felice temperie di clima; magnifico teatro invero preparato allo spettacolo delle sperate età migliori. Gran tempo è che la civiltà viaggia verso occidente come la nave avventurosa di Colombo; nè forse passeranno molti secoli che l’America, posta fra le due estremità tanto fra sè disformi del vecchio continente, signora di metà del commercio dell’India e della China, per diritto di vicinanza preponderante nelle isole australi, popolata da nazioni gigantesche come le sue fiumane e le sue cordigliere, avvivata da libere istituzioni, avrà il primato del mondo, e terrà la bilancia delle cinque parti della terra. Allora, come a nume tutelare, renderanno culto di riconoscenza a Colombo i popoli a cui egli trovò la patria; allora dal suo nome s’intitolerà forse una più felice êra della storia; allora forse guarderanno i poeti come un’altra misteriosa divinazione quella fantasia del gran navigatore, quando, toccate la prima volta le rive di Paria, al nuovo aspetto del cielo profondo, degli abissi trasparenti del mare, dell’insolita grandezza della natura, credette essersi avvicinato al paradiso: e allora quanto acerbo dolore rimorderà gli Italiani che a punizione d’aver costretto l’uomo grande a straniarsi, non hanno, e non avranno forse mai, in quel mondo dell’avvenire, un asilo per le loro sventure e per le loro speranze. Terribile lezione questa di Colombo che fuggendo la patria tumultante ed infelice, andò lungamente mendicando dagli stranieri il permesso di loro mostrare quell’orbe nascosto, di cui egli solo sentiva i segreti inviti: e poi ch’ebbe tenuta l’incredibile promessa, n’ebbe in premio le calunnie, i sospetti e il vilipendio che sembrano di necessità accompagnare l’uomo per cui non risponda una patria: ne trovò giustizia o pace neppur nel sepolcro, su cui stettero vergognoso e dolo-