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lettere d’una viaggiatrice |
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mettono un immobile e bizzarro fondo di argento opaco. Su questa loggetta terrena, lungo il muro, sono disposte delle poltrone di paglia, larghe e confortevoli: delle donne, degli uomini, vi sono seduti, contemplando e tacendo.
Dirimpetto a questo Grand Hotel, la massa fine e pure imponente di Santa Maria della Salute si profila appena, sul cielo notturno: e i cento lumicini delle gondole ferme o filanti nell’ombra, i lampioncini multicoltori delle grandi barche ove si suona e si canta, le lampade degli altri alberghi, non giungono a diradare le belle tenebre ove le chiese e i palazzi morbidamente si ammantano. Questi uomini, queste donne che prolungano la loro serata, immoti in una poltrona, muti e tranquilli, sono stranieri, venuti da tutti i paesi del mondo, a Venezia, affascinati invincibilmente da un nome che ha sempre tenuto tutte le sue promesse, da un nome di poesia più bello nella sua realtà che in tutti i sogni dei lontani e in tutte le prose degli scrittori: ognuno di questi stranieri, è venuto a chiedere, a Venezia, delle immagini di beltà, delle visioni d’arte, delle impressioni