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lettere d’una viaggiatrice |
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poichè è tenue, poichè viene di lontano, dall’ombra, sulle acque, a Venezia: è singolarmente piacevole, poichè voi lo udite come in un sogno, poichè ignorate il viso di chi canta, poichè, forse, non ne comprendete le parole. Sui volti di chi ascolta, qui, intorno a me, e sono sono volti chiusi, di gente estranea, qualche sorriso appare, alle molli modulazioni degli strumenti della voce: alla fine, dei fiochi applausi arrivano, dalle altre verande, dalle loggie, ove ascoltano altri. Più lontano, molto lontano, qualche altra eco armoniosa giunge. Pare che il movimento delle gondole che passano, che partono, che arrivano, si cadenzi sovra la canzone, di amore, in napoletano, o sull’idillio tenero di Mimì e di Rodolfo. L’acqua fiotta così lievemente! E, forse, noi sogniamo, qui, da un secolo; sogniamo di non esser più noi, ma altri; di non aver mai sofferto, di non poter mai soffrire le cose atroci, che lacerano la nostra duplice vita spirituale e materiale; sogniamo di ogni più traboccante dolcezza che tutto il nostro essere invada, pervada, trasformi, rifaccia, una dolcezza senza misura, senza fine; e sogniamo che il nostro sogno duri, ancora, un secolo.