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Pagina:Letturecommediagelli.djvu/17

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della crusca xiii

difesa di Dante e della lingua toscana scrisse un libro, assai stimato dai Dantisti, e diviso in tre giornate o tre dialoghi. Ma ne lasciò finiti due soltanto, poichè la morte gli’interruppe il lavoro; e del terzo non rimasero se non frammenti. Ne presero cura Pier Francesco Giambullari e Cosimo Bartoli, i quali insieme col Gelli erano interlocutori di quei dialoghi; e li pubblicarono nel 1556 colle stampe del sopra detto Torrentino, e con due dedicazioni, l’una del Bartoli al Duca Cosimo, e l’altra del Giambullari a Michelangelo Buonarroti. S’intende facilmente, nè a’ Bartoli io vorrò dar biasimo, che abbia voluto mettere il libro anche sotto la protezione del suo Signore. Ma prima di morire, non altro desiderio aveva il Lenzoni a’ suoi amici significato, che di veder l’opera sua venire in pubblico sotto il nome del gran Buonarroti. E bene era degno, e questo forse unicamente era degno, che al nome del divino Dante si accompagnasse il nome del divino artista, il quale dalla Commedia Dantesca aveva tolto il pensiero della maravigliosa sua pittura del Giudizio universale, e solo potè colla matita e col pennello arrivare tant’alto da non rimanere al di sotto del poeta.

Alcuni anni dopo lesse nuovamente il Gelli all’Accademia intorno a Dante; e questa volta fu nel 1551 sotto il consolato del Senatore Bernardo Canigiani, nobilissimo e virtuosissimo uomo, amico di Torquato Tasso e di Giambattista Guarini. Del quale Canigiani io faccio qui speciale ricordo; perchè egli con Anton Francesco Grazzini, con Bastiano De Rossi e con altri valent’uomini fu tra i primi fondatori della vostra Accademia della Crusca, prendendovi il nome di Gramolato. In questa sua Lettura il Gelli spiegò alcuni terzetti del Canto XXVII del Purgatorio, discorrendovi del libero arbitrio; ed è l’ultima delle lezioni che si raccolsero nel già citato volume Torrentiniano del 1551.