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prima bisogna pensare alle cose necessarie, poi a quelle superflue: e perchè lo tiene spuntato? Non ci ha aghi e refe a casa sua?

Un uomo sulla sessantina svoltò la cantonata ed entrò nella strada; aveva l’ombrello aperto, ma lo teneva appoggiato sulla spalla, con un certo fare incurante, che l’acqua gli schizzava tutta sul viso. Quel viso era dolce ma grave e pensoso: doveva essere qualche scienziato.

— Povero dotto, pensò ancora la Livia, perchè imiti quel filosofo dell’antichità, il quale per istudiare il cielo, non vide la buca, entro la quale poco mancò non si fiaccasse il collo?

Finalmente la Lidia, scorse una bambinuccia di otto o nove anni, che camminava, interamente nascosta da un immenso ombrello d’incerato. Era un ombrello scolorito, vecchio, goffo, ridicolo, un di quegli ombrelloni che si vedono talvolta a qualche vecchio e buon prete campagnuolo.

La Livia, a quella vista, si ebbe a sbellicar dalle risa. Era tanto grande, tanto grande, che pareva camminar solo, con l’aiuto di due piedini mal calzati, di cui la nostra curiosetta non poteva scorger che le punte.

Là vicino ci erano gli asili infantili. L’ombrellone entrò nella scuola e subito dopo ne uscì proteggendo una vera nidiata di creaturine piccine,