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settimo cantare 243

2.
Se il troppo vino fa che l’uom soggiace
A tal error di tanto pregiudizio,
Chi non ne beve, e quello a cui non piace
A questo conto dunque ha un gran giudizio;
Anzichè no1, sia detto con sua pace,
Perch’ogni estremo finalmente è vizio;
E se di biasmo è degno l’uno e l’altro,
Questo2 ha il vantaggio, al mio parer, senz’altro.
3.
Perchè se quel s’ammazza e non c’invecchia
Ed è burlato il tempo di sua vita,
Almen sente il sapor di quei ch’ei pecchia3,
E tien la faccia rossa e colorita.
Burlar anche si fa chi va alla secchia,
E insacca senza gusto acqua scipita,
Che lo tien sempre bolso e in man del fisico,
Il qual l’aiuta a far morir di tisico.
4.
Però sia chi si vuole, egli è un dappoco
Chi ’mbotta al pozzo come gli animali;
S’avvezzi a ber del vino appoco appoco,
Ch’ei sa, che l’acqua fa marcire i pali;
Ma, com’io dico, si vuol berne poco:
Basta ogni volta cinque o sei boccali:
Perch’egli è poi nocivo il trincar tanto,
Com’udirete adesso in questo Canto.

  1. St. 2. Anzichè no. Pare che sia usato in senso di Ma, anzi no. (Nota transclusa da pagina 321)
  2. Questi. L’astemio ha l’utilità dello star sempre in cervello, ma non altro; ma non sente nessun piacere. (Nota transclusa da pagina 322)
  3. St. 3. Pecchia. Succia, come pecchia. (Nota transclusa da pagina 322)