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settimo cantare 253

32.
E resta a seder lì tutto insensato,
Ch’ei par di legno anch’ei come la sedia;
Può far, tanto nel viso è dilavato,
Colla tovaglia i simili1 in commedia.
E mirando quel panno insanguinato
Ormai tant’allegria muta in tragedia;
Mentre nel più bel suon delle scodelle
Si vede ognun riposar le mascelle.
33.
E tutti quei che seggon quivi a mensa,
i servi, i circostanti ed ogni gente,
Corrongli addosso, chè ciascun si pensa
Che venuto gli sia qualch’accidente;
Nè sanno che il suo male è in quella rensa2,
Com’appunto fra l’erba sta il serpente;
Rensa non già, ma lensa3, onde il suo cuore
Preso al lamo col sangue aveali Amore.
34.
Che gli par di veder, mentre in quel telo
Contempla in campo bianco i fior vermigli,
Un carnato di qualche Dea di cielo
Composta colassù di rose e gigli.
E sì gli piace, e tanto gli va a pelo.
Che finalmente, mentrech’ei non pigli
Una moglie d’un tal componimento.
Non sarà de’ suoi dì mai più contento.

  1. St. 32. I Simili. Titolo di commedia in cui due personaggi, simili in modo da scambiarsi, sono cagione di mille equivoci. (Nota transclusa da pagina 324)
  2. St. 33. Rensa. Tela di lino fina; da Rems ove fabbricavasi. (Nota transclusa da pagina 324)
  3. Lensa o Lenza, filo dell’amo. (Nota transclusa da pagina 324)