Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/208

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202 iii - rime

ché l’un per l’altro è quello
che fa ciascun per sé piú caro e degno:
perché val poco alfin quella pietate
dove non è beltate;70
beltá senza pietate è viva morte,
e passa ogni altro sdegno
quel ben ch’altri disia, se n’è disiunto.
Pietá, beltá consorte
Amor ha in lei e la Natura aggiunto.75
     Questa congiunzione una armonia
sí dolce fa, ch’ogni altro dolce passa:
né il dolor sol, ma il cor metto in oblio.
Queste eccellenzie della donna mia
fan lieta l’alma allor quand’è piú lassa,80
ché gran contento segue il gran disio.
Amor, poi che sí pio
sei verso me, per qual cagion avvenga,
di sí felice sorte io ti ringrazio:
temo sol che lo spazio85
del viver sia, piú ch’io non vorrei, brieve,
e ’l troppo dolce spenga
per morte in me del mio ben la radice;
ma non mi parrá grieve
il fin però, morendo sí felice.90
     Canzona, in quella valle
andrai, dov’è il mio cor, ch’è sempre aprica,
sopra il fresco ruscello:
lí ti dimorerai lieta e soletta;
fa’ parola non dica:95
statti ove spira una gentil auretta.