Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/147

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iii - laudi 141

     Delli occhi vani ogni luce sia spenta,
perch’io vegga te, vera luce amica:
assorda i miei orecchi, acciò ch’io senta
la disiata voce che mi dica:
— Venite a me, chi ha peso o fatica,
ch’io vi ristori: egli è ben tempo omai. —
     Muoia in me questa mia misera vita,
acciò che viva, o vera vita, in te;
la morte in multitudine infinita,
[i]nFonte/commento: Edimburgo, 1912 te sol vita sia, che vita se’;
muoio, quanto te lascio e guardo me;
converso a te, io non morrò giamai.
     Allor l’occhio vedrá luce invisibile,
l’orecchio udirá suon ch’è sanza voce:
luce e suon, che alla mente è sol sensibile;
né ’l troppo offende o a tal senso nuoce:
stando i piè fermi, correrá veloce
l’alma a quel ben che seco è sempre mai.
     Allor vedrò, o Signor dolce e bello,
che questo bene o quel non mi contenta;
ma, levando dal bene e questo e quello,
quel ben che resta il dolce Dio diventa;
questa vera dolcezza e sola senta
chi cerca il ben: questo non manca mai.
     La nostra eterna sete mai non spegne
l’acqua corrente di questo o quel rivo,
ma giugne al tristo foco ognor piú legne:
sol ne contenta il fonte eterno e vivo.
O acqua santa, se al tuo fonte arrivo,
berò, e sete non arò piú mai.
     Tanto desio non dovria esser vano;
a te si muove pure il nostro ardore.
Porgi benigno l’una e l’altra mano:
o Gesú mio: tu se’ infinito amore.
Poi che hai piagato dolcemente il core,
sana tu quella piaga che tu fai. —