Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/153

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iii - laudi 147

ix

Cantasi come la canzona delle Forese.          


     O peccator, io sono Iddio eterno,
che chiamo sol per trarti dello inferno.
     Deh! pensa, chi è quel che tanto t’ama
e che sí dolcemente oggi ti chiama;
e tu chi se’, la cui salute brama:
se tu ci pensi, non morrai in eterno.
     Io sono Dio, del tutto creatore;
tu, non uomo, anzi un vil vermin che muore:
in mille modi ognor ti tocco il core;
tu non odi, e piú tosto vuoi lo ’nferno.
     Perché ti muova piú la santa voce,
ecco per te io muoio in su la croce;
col sangue lavo la tua colpa atroce,
tanto m’incresce del tuo male eterno.
     Deh! vieni a me, misero, poveretto,
o peccator, che a braccia aperte aspetto
che lavi nel mio sangue ’l tuo difetto,
per abbracciarti e trarti dello inferno.
     Con amorosa voce e con soave
ti chiamo, per mutar tue voglie prave.
Deh! prendi il giogo mio, che non è grave;
è leggier peso, che dá bene eterno.
     Io veggo ben che ’l tuo peccato vecchio
al mio chiamar ti fa serrar l’orecchio:
ecco, la grazia mia io t’apparecchio;
tu la fuggi, e piú tosto vuoi lo ’nferno.
     Deh! dimmi, che frutto hai o che contento,
di questa, che par vita, ed è tormento,
se non vergogna, affanno e pentimento?
E vòi perder per questa il bene eterno.