Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/17

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vii - capitoli 11

     Non ti doler, se piú cose vedute100
quella non ha, o a piú tempo aggiunto;
ché piena d’ogni male è senettute.
     Tu lo pruovi or, e piú sapra ’lo appunto,
quanto piú lá ti condurrá tua Parca,
che ’l viver lieto è il vero mortal punto.105
     Quanto piú oltre nostra vita varca,
tanto truova al cammin piú duri i passi,
e di dannosa soma piú si carca.
     E poi giugnendo al nostro estremo lassi,
quando il tornar e ’l penter poco vale,110
conosciam chiaro aver perduti i passi.
     Ah quanto è troppo incomportabil male
quel tristo pentimento, che non giova!
e di piú alto cade, chi piú sale.
     Folle è colui, che quasi ognora pruova115
del mondo cieco qualche gabbo o inganno,
e stimal sempre, come cosa nuova.
     Ov’è minor affetto, è manco affanno:
ov’è manco speranza, è minor doglia:
quel che poco si prezza, fa men danno.120
     La troppa accesa e sviscerata voglia
della salute di tua figlia cara,
d’ogni dolcezza il cor tuo priva e spoglia.
     Da questo esemplo in tutti gli altri appara:
ricordati esser viro, onde s’appella125
quella virtú, ch’è tanto degna e chiara.
     Perché piú dura condizione è quella
della virtú per molti tempi esperta,
che dell’occulta, incognita e novella.
     Tanto piú diligenzia e sudor merta130
l’opra di quel, che opinione ha dato,
che sia la sua virtú piú ferma e certa.
     Piú s’aspetta da quel che ha piú provato;
anzi come per debito si chiede
l’operar grave, saggio e moderato.135