Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/170

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164 xiv - simposio ovvero i beoni

     E, perché l’acqua della feminella
spegne la sete, per giucar piú netto
acqua non beo per non gustar di quella.30
     Lasciamo andare: in questo è il mio diletto,
pel qual contento son, lieto e giocondo,
ch’egli è il mio sommo ben solo e perfetto.
     E quando non sarò piú sitibondo,
daretemi d’un mazzo in sulla testa,35
se manca quel per ch’io son visso al mondo. —
     A pena udir potéssi da lui questa
parola, ch’esser solea sí feroce;
e Bartol cominciò, come lui resta:
     — Lasso! dove lasciato hai tu la voce? — 40
Lui soggiunse a fatica: — A San Giovanni
l’esser suto rettor tanto mi nuoce.
     Chi si potrá tener, che non tracanni
di quei trebbiani? E di quel ch’io ho fatto
non me ne pento, benché in questi affanni.45
     Poca ve ne trovai, e men n’ho tratto:
e, s’io morissi ben, non me ne pento;
non me ne pento, dico, un altro tratto.
     Morir nell’arte mia io son contento,
ché un bel morir tutta la vita onora. — 50
Poi piú non disse, e vanne come il vento.
     Un altro drieto a lui conobbi allora,
che par che dello andar da questo appari;
ché, se colui ne bee, questo divora;
     litiginoso e’ capei bianchi e rari.55
A lui mi volsi e dissi: — O Grassellino
che se’ l’onor della casa Adimari,
     tírati a tal viaggio amor divino? —
Ed egli a me: — Non aver maraviglia,
perch’io farei molto maggior cammino:60
     un passo mi sarebbe cento miglia;
ogni fatica è spesa ben per questo. —
Piú non disse, e seguí l’altra famiglia.