Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/187

Da Wikisource.

capitolo vi 181

     Non s’apre allo invitar la bocca appena,
ched al pappar la bocca sua non sogna;65
va Botticello e torna botte piena.
     Preso partito gli ha della vergogna:
e sol si duol che troppo corto ha il collo,
ché lo vorrebbe aver d’una cicogna.
     E’ non è mai sí pinzo e sí satollo,70
che non vi resti luogo a nova gente,
e dopo cena ha giá mangiato un pollo.
     Stu vedessi il suo corpo onnipotente
quanto e’ divora! e’ non ne porta piue
una galea che si stivi in Ponente.75
     Non piú di lui. Diciam di questi due,
che dove vanno, è sempre di vendemia:
guarda se a lor concessa è gran virtue.
     Sappi che al vino e’ sono una bestemia:
e duolsi l’un di questi dua arlotti,80
che ’l ben fare a suo modo non si premia;
     non veggon prima il vin, ch’ambo son cotti.
Ma bisogna sia presto per trist’occhio,
ch’è il comparone e ’l mio Ridolfo Lotti:
     il nostro comparon, ch’è piú capocchio,85
crebbe ventotto libbre alla baccale,
e restavagli a ber poi col finocchio.
     Qual maraviglia è, s’egli ha poi per male
non esser premiato? Io mi vergogno
ch’e’ non sia coronato carnesciale.90
     L’altro dormendo l’ho veduto in sogno,
in un sogno ch’io fe’ presso al mattino,
che gli cadea, non che la goccia, il cogno.
     Se son nimici capital del vino,
il vino è poi lor capital nimico,95
che al capo drizza il suo furor divino.
     Sbandito gli hanno la ciriegia e ’l fico
ed ogni cosa che non dá buon bere;
ciascun giovane è d’anni, al bere antico.