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Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/216

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210 xv - canzoni a ballo

xvii


     Io non so qual maggior dispetto sia,
che aspettar quel che ’l cor brama e disia.
     Ogni ora a chi aspetta pare un anno,
ed ogni brieve tempo è troppo lungo:
color che ’l pruovon, molto ben lo sanno.
Io son di quei che dicon: — Ora la giungo: —
e, quando ben nascessi come il fungo,
mi par che troppo al mio bisogno stia.
     Quel ch’io aspetto, e’ me lo par vedere;
quel ch’io vorrei, e’ me lo par sentire:
s’i’ penso a quel ch’io spero presto avere,
parmi vederti lieta a me venire;
ma poi per doglia sono in sul morire,
ch’io veggio vana ogni speranza mia.
     E il core a oncia a oncia si distrugge:
pure aspettando, io mi consumo ed ardo;
e priego il tempo, che sí ratto fugge,
che sia al passar via piú lento e tardo.
E, mentre che il passato indrieto guardo,
veggo il presente che se ne va via.
     Donna, deh pon’ rimedio a questo male!
Tu non t’avvedi forse, poveretta,
che tu se’ a te stessa micidiale,
ch’è maggior danno, sendo giovinetta.
Abbi compassion di chi aspetta,
e della tua bellezza e leggiadria!