Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/132

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lucifero

In un mar di perigli il luminoso
Trono di Lui, c’ha di saggezza il vanto?
Fu la malnata idra plebea, di bieco
485Livor pasciuta. Abito assunse e volto
Di libertà; con tumida parola
Provocò le dormenti ire; commosse
Con sonante lusinga il cor dei forti,
Piaggiò con prostituta arte la turba
490Non d’equità ma di vendetta accesa,
Quando nella bugiarda alma un’obliqua
Ambizíon fea nido e sotto al manto
Involava a mortal guardo il venduto
Stilo di Ravagliacco e il cor di Giuda.
495Così strisciando tortuosamente
All’aureo cocchio arrampicossi, dove
Sedea, temuto Automedonte, il senno
Di Bonaparte. A lui si assise accanto
Con ipocrito ghigno; un sopor lieve
500Nella mente gl’infuse; oscurò il lume
Dei veggenti consigli; ond’ei le forti
Redini rallentò su le spumanti
Briglie dei corridori. Un urlo mise
L’empia gorgòne; in piè balzò; disperse
505Co’l freddo soffio le veglianti cure,
Che custodían con cento occhi il governo,
E dall’altezza dei lucenti alberghi
Per la lubrica china i fieri alípedi
Abbandonò. T’arresta, empia e mentita
510Furia! E tu, se alcun raggio anco ti avanza
Dell’antica virtù, se t’arde ancora
L’onor di Francia e la tua gloria i polsi,
Sorgi, e imponi il tuo nume, o sir dai pronti
Accorgimenti e dalle pronte spade!
515Sorgi; alla furibonda idra le cento
Creste conculca; e a questa rea, che il freno



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