Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/166

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lucifero

Dietro senza neppur farti uno zitto;
190S’apre bocca? si fiata? Ecco, senz’altro
Tu mi prendi una bizza! Ah! ma la colpa
È tutta mia! T’ho ridonato il riso
Di giovinezza; t’ho dischiuso il core
Alle dolcezze d’un celeste affetto:
195Tutti inutili doni! Altro or tu chiedi
Del mio paterno amor non dubbio segno?
Legger vuoi nel destino? Ebben, mi ascolta! —
Smesse il labbrino, e radíò d’un riso
La bellissima santa, e, poste al seno
200Con garbo pueril le braccia in croce,
Si guardò, s’assettò, scosse la bruna
Testa, a sviar dal fronte piccioletto
La crespa ed odorata onda del crine,
E tutta nell’udir l’anima accolse.
205— Non sorrider così, cominciò il Nume
Con sospirosa voce; occulta, orrenda
Cosa io dirò, tal che nessun finora
Ascoltò dei Celesti. Ah! s’altri fosse
Di tal secreto e dei miei casi a parte,
210Rubellarsi vedresti al regno mio
Le angeliche sostanze, e qual notturno
Simulacro di sogno irne in dileguo
La mia superba autorità. Se dunque
Di tanta confidenza oggi t’eleggo
215Secretaria e custode, e tu ten mostra
Degna co’l seppellirla entro al tuo petto. —
Co’l tenue capo d’assentir fe’ cenno
La santa orgogliosetta, e portò al core
La man picciola e bianca. Il guardo in giro
220Mosse il canuto Iddio; piegò la bocca
Su l’orecchio di lei; la man distesa
Fra la bocca e l’infida aria interpose,
E mormorò: — Nulla son io, non sono



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