Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/198

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lucifero

Ch’altri fanciulli al suo comando avea,
Con sè mi prese: eravam tanti! In giro
615Strimpellando le nostre arpe si andava
Per le città, scalzi, soletti, stanchi,
Senza letto, nè pane, al sole, al vento
Alle piogge, alle nevi ed alla sferza
Del rio padron, cui parea scarso il frutto
620Di quel nostro accattar cotidíano.
L’altrier, consunto dal continuo stento,
Un fanciullo moriva: e tanti e tanti
N’eran morti così! Ci amavam come
Due fratelli infelici: eravam sempre
625L’uno accanto dell’altro. Un dì un allegro
Ritornello io cantava; ei con le scarne
Dita seguía su l’arpa a gran fatica
La mia pazza canzon. Tacquero a un tratto
Le monotone corde: il poverino
630Cadde, nè più si ríalzò. Non ebbi
Più memoria di me: fuggii la vista
Dell’odiato signor. Mi trovò il crudo
Presso al cantuccio d’una via romita,
Che l’amico piangea; mi picchiò tanto,
635Che mi parve morir. Questa pietosa
Dalla via mi raccolse. —
                                   Ed additando
Quell’infelice, che gli stava a lato,
Fra’ singhiozzi tacea. Tacea pur essa
La sventurata, e si stringea sul petto
640L’affannato fanciullo.
                                   In su la soglia
Splende un raggio di Sol; canta e saltella
Un’amorosa cingallegra. Al seno
Le tenui braccia il fanciullin compone,
Guarda in alto, e sorride.
                                    — Oh! non lasciarmi,



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