Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/291

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canto decimoquarto

Temuto auspicio con radici immani
Colpe ed errori avviticchiâr la terra.
445Ma stagione or mutò: gli egri intelletti
Dal morbo rio, che li torceva al cielo,
La Ragione guarì: solo e severo
Nume e legge la Forza; e qual volesse
Novelli Iddii favoleggiar, d’infame
450Morte morrà. Mal vi destate adunque
Di Lucifero al grido; al vostro Nume,
Gloria non già, morte e vergogna ei reca! —
— Inclito senno d’Albíon, rispose
Tosto l’eroe, che pur nel nome ha luce,
455Quale acerba rampogna or t’è fuggita
Dalla rigida bocca? Impazíente
Del trionfo dell’uom, ch’è mio tríonfo,
E sdegnoso di tutti idoli a dritto
Epperò degno mio campion tu sei;
460Ma trasvolar quanta ragion mai possa
Proteggere costor d’un’aurea scusa,
Lodevol cosa io non dirò, nè giusta.
Allor che inconscj d’ogni ver, fra bieche
Fraterne ire e sospetti, una brutale
465Vivean vita gli umani, e la Paura,
Despota d’ignoranti anime, orrende
Cose spirando, il ciel, la terra, i flutti
Popolava di Numi e di Chimere,
Chi avría, senza periglio e senza tema
470Di gittar l’opra inutilmente, esposto
Scevro di veli ad uman guardo il vero?
Il vero è Sol, che i grami occhi abbarbaglia
Di chi vive nell’ombre. Or chi di biasmo
Farà segno costor, se al radíante
475Volto del Ver, perchè men dèsse offesa,
Posero un’ombra, a cui diêr nome Iddio?
Come in aprica e ben disposta aiuola,



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