Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/302

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lucifero

Quando l’amor di Gabríel, la vaga
130Cecilia, udito il suon dell’armi e il grido
Del guerriero diletto, a lui sen corse
Spaventata, anelante, e: — Dove irrompi,
Forsennato, gridò: qual cieco inganno
T’ombra il divo intelletto? Ah! non già un uomo,
135Non un popolo sol, non tutta quanta
La terra hai contro e i rubellanti abissi,
Ma con seco i destini. È troppo orrenda
Cosa la pugna, e quando è vana, è stolta.
Cedi al destin; cedi all’amor; non giova
140Produrre a prezzo di perigli il regno;
Se tempo è di cader, cadasi: io teco
Stretta morrò, non già con l’armi in pugno,
Ma nell’amplesso dell’amor sopita. —
Disse, e caddegli a’ piè. Fra due sospeso
145Dubitava il gagliardo Angelo, quando
Dal sen colmo di lei, fosse arte o caso,
Lieve lieve si scinse il roseo velo;
Ed ella in vista lagrimosa e tutta
D’amoroso pudor rorida, ai dolci
150Studj d’amor gli seducea la mente.
Strale fu questo, che andò dritto al core
Del divino guerrier: gli sfuggì il brando
Dalla trepida destra; il vergognoso
Sguardo girò confusamente intorno,
155E balbettando futili parole,
Per man prese la dea, ne le lucenti
Stanze sacre ad amor trassela, e lei
Mal ripugnante degli ambrosei veli
Con mano carezzevole discinta,
160Al talamo invitò, dove il gagliardo
Proposito e il vicin fato e sè stessi
Dimenticando, a delibar si diêro
Del giardino d’amor l’ultime rose.



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