Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/51

Da Wikisource.

canto terzo

Co’l pensiero regnò. Gemean le menti
50Sotto al flagel d’una loquace, astuta
Sfinge bifronte, che di Cristo a un tempo
E d’un saggio, che patria ebbe Stagira,
Usurpando il poter doppio e gli aspetti,
Mutava con sottile arte in oscura
55Fede il saper, la cattedra in altare.
Povera fra le genti iva e digiuna
D’ogni culto Sofia, nè pria fu lieta
Di fermo ospizio e d’onorate offerte,
Che s’avvenne in Telesio. Il venerando
60Vecchio sedea pensosamente all’ombra
Delle selve native; e, pari al raggio
Novo del Sol, che tra le fronde e i rami
Scendea sereno a ricercargli il fronte,
Puro tra le profane ombre splendea
65Il suo giovane spirto. All’aura, al guardo
Riconobbe la santa esule, e incontro
Sorridendo e tremando e con aperte
Braccia le corse. Una parola ardita
Quinci udiron le serve itale menti;
70Impallidì l’ibrida sfinge; il duro
Giogo fu scosso; e da quell’aureo giorno
La casetta del sofo ara divenne.
    Qual dalle dilicate àntere aperte
Manda l’amante fiore al fior lontano
75Il pòlline fecondo, e messaggero
Del casto bacio è il zeffiro d’aprile;
Tale il novo pensier, creduto a un novo
Magistero di cifre, inclite imprese
Maturò fra le ardenti anime; e il vanto
80Fu tuo per vero, o egregia arte, per cui
Da metallici tipi impresso, e in mille
Guise prodotto, agil discorre e vola
Il mortale pensier, visibil fatto.



— 47 —