55Quando Grecia fioría, Numi e poeti.
Coronata di selva, entro ad opaca
Valle per ben chiomati olmi canora
E per canto d’augelli e suon di rivi,
Tra Larissa e l’Egèo molle dechina. 60E, quai Titani, a lei stanno d’intorno
Ossa, Pelia ed Olimpo, immani e illustri
Gioghi di monti, dalle cui pendici,
Qual víolento iddio, sgorga e prorompe
Fragoroso il Penèo. Fama è, che quivi, 65Quando più torve lo mordean l’Erinni,
Pervenne Ercole un giorno. Opposte e chiuse
S’addossavano ancor rocce su rocce
Senza varco di uscita; e derelitta
Era la terra. Arse di rabbia il fero 70Nume a tal vista, e giù co’l capo e il petto
Fe’ cozzo ai monti. Traballâr divelti
Gl’iperborei macigni; inorriditi
Si arretrâr, si fermâro, e il passo aprîro
Al furente Almeníde. Allegra e bella 75Sorrise indi la valle, e sgorgò il fiume
In memoria del dio. Fra sempre verdi
Gramigne e giunchi flessuosi e fiori
Esso ha il lubrico letto, ed or si volve
Querulo come rivo, or mugolante 80Dirocciasi dall’alto, or queto e bruno
Tra foltissimi vepri al Sol s’invola,
Or limpido e sonante al ciel risplende
Come lama d’argento, ed ai lavacri
Il polveroso mandrían conforta. 85Pingue così di spume e di tributi
Scende e si sparge a fecondar la valle,
E al Cuario, al Pomíso, all’Apidano
E all’Orcon si accompagna, Orcon che scarsa,
Ma nitida su tutti e dolce ha l’onda