Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/106

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92 di Tito Lucrezio Lib. VI.

     D’un lume velocissimo, e risplenda
     260D’un tremulo fulgor l’atra tempesta,
     Tosto che il vento alcuna nube assalse,
     E quivi ’n giro volto, il cavo seno,
     Qual sopra io ti dicea, n’addensa, e stringe;
     E ferve per la sua mobil natura,
     265Come tutte scaldate arder le cose
     Veggiam nel moto; ond’anche il lungo corso
     Strugge i globi girevoli del piombo.
     Tal dunque acceso il vento, allor che in mezzo
     Squarcia l’opaca nube, indi repente
     270Molti semi d’ardor quasi per forza
     Spressi disperge, i quai di fiamma intorno
     Vibran fulgidi lampi. Or quinci ’l tuono
     Nasce, il qual vieppiù tardo il senso move
     Di qualunque splendor, ch’arrivi all’occhio;
     275E ciò tra folte, e dense nubi avviene
     In un profondamente altre sopr’altre
     Con prestezz’ammirabile ammassate.
     Nè t’inganni il veder, che l’uom da terra
     Può viemeglio osservar, per quanto spazio
     280Si distendon le nuvole; che quanto
     Salgano ammonticate in verso il cielo;
     Poichè se tu le miri, allor che i venti
     Per l’aure se le portano a traverso;
     O allor che pe’ gran monti accumulate
     285Si stanno altre sopr’altre, e le superne