Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/221

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Lib. III. Fav. XVII. 207

     Ch’ardea di sete, appena udìo le lodi
     Di sue voci, che ratta a lei sen vola.
     Tosto fuor de la tana l’altra escita,
     20La trepida Cicala insiegue, e uccide,
     Che morta quello diè, che negò viva.


FAVOLA   XVII.

Gli Alberi in tutela degli Dei.

QUando da’ Numi gli Alberi in tutela
     Fur presi, l’alta Quercia a Giove, il Mirto
     A Venere, l’Alloro a Febo piacque.
     Gradì Cibele il Pino, Ercole il Pioppo.
     5Stupì Minerva, che infeconde piante
     A lor piacesser, e il perchè ne chiese.
     Sì parlò Giove: perchè alcun non creda,
     Che l’ossequio col lor frutto si compre;
     Ma Minerva, ognun dica ciò ch’ha in grado;
     10Ch’io per le frutta sue l’Ulive eleggo.
     Il gran Padre a lei volto: è giusto, o figlia,
     Di saggia il nome, onde ciascun t’onora.
     Che se ciò facciamo, util non have,
     L’onor che ne ridonda, è folle onore.
          15* Qualunque cosa di vantaggio priva
     Vuol la novella mia che non s’imprenda.