Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/32

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18 di Tito Lucrezio Lib. V.

     L’infima parte, e il terren globo adombrasi,
     Ovunque i foschi nembi il volo indrizzino.
     450Onde conoscer puoi, che sempre il tutto
     D’uopo ha di splendor nuovo, e che perisce
     Ciò che pria di fulgor si sparse intorno:
     E che per altra via vedersi i corpi
Non potrebbero al sol, s’egli ’l principio
     455D’un perpetuo fulgor non ministrasse.
     Anzi i lumi terrestri al buio accesi,
     Le pendenti lucerne, e le corrusche
     Di fumante splendor pingui facelle
     Anch’esse ardendo in cotal guisa avacciansi
     460Di sparger nuova luce, ed instan sempre
     Di scintillar con tremole fiammelle
     Instano, e luogo alcun quasi interrotto
     Non lascia il lume lor: con sì gran fretta
     De’ suoi lucidi rai l’alta ruina
     465Col veloce natal sostiene il foco.
Il sol dunque così, la luna, e tutte
     L’auree immobili stelle, e le vaganti
     Creder dei, che per altro ognora, ed altro
     Successivo natal vibrino intorno
     470Il lume, e perdan la primiera fiamma.
     D’uopo è pur dunque il confessar, che queste
     Cose, com’altri pensa, esser non ponno
     Di corpo irresolubile ed eterno.
In somma dall’etade il bronzo, il marmo