Pagina:Lucrezio e Fedro I.djvu/181

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di Tito Lucrezio Lib. III. 153

     880Debole e stanca e di ritegno priva
     Non sol non duri esternamente intatta,
     Ma nè pur si conservi un sol momento?
     Conciossiachè non sembra a i moribondi
     Di sentire accostar l’anima illesa
     885Al petto, indi alla gola, indi alle fauci;
     Ma par lor, che perisca in un tal sito
     A lei prefisso: in quella guisa appunto
     Che sa ciascun di noi, ch’ogni altro senso
     Nella propria sua parte si dissolve.
     890Che se pure immortal fosse la mente,
     Essa giammai non si dorria morendo
     D’esser disciolta dal mortal suo laccio;
     Anzi con volar via libera e sciolta
     Goder dovrebbe di lasciar la veste:
     895Qual gode di depor l’antica spoglia
     L’angue già vecchio, e le sue corna il cervo.
     In somma perchè mai non si produce
     Dell’animo il consiglio o nella testa
     O nel dorso, o ne’ piedi, o nelle mani?
     900Ma sempre sta tenacemente affisso
     In quel sito medesmo, in cui natura
     Da prima il collocò; se pur non sono
     Prescritti i luoghi, ove ogni cosa possa
     Nascere, e nata conservarsi in vita?
     905Sì tutti i corpi han le lor sedi, e mai
     Non suol per entro alle pruine algenti