Pagina:Lucrezio e Fedro I.djvu/248

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220 di Tito Lucrezio Lib. IV.

     1015Tutte l’effigie in guisa tal s’adattano
     Di tutti al senso, che a vedersi alcune
     Non siano più dell’altre aspre e pungenti;
     Anzi qualor l’ali battendo il gallo,
     Quasi a se stesso applauda, agita e scaccia
     1020Le cieche ombre notturne, e con sonora
     Voce risveglia ogni animale all’opre,
     Non ponno incontr’a lui fermi e costanti
     Trattenersi un momento i leon rapidi,
     Nè pur mirarlo di lontan; ma tosto
     1025Precipitosamente in fuga vanno:
     E ciò perchè de’ galli entro le membra
     Trovansi alcuni semi, i quai negli occhi
     Del leon penetrando, ambe le luci
     Gli pungono in tal guisa, e così aspro
     1030Dolor gli dan, che più durargli a petto
     Non ponno, ancorchè fieri, ancorchè indomiti.
     E pur dagli stessi atomi non hanno
     Mai le nostre pupille offesa alcuna;
     O perch’essi non v’entrano, o piuttosto
     1035Perch’entrandovi, han poi l’esito aperto
     Per gl’istessi meati, onde in tornando
     Non ponno i lumi in alcun modo offendere.
Or su, quai cose a moverne bastanti
     Siam l’alma, intendi, e in brevi detti ascolta,
     1040Onde possa venir ciò che ne viene
     In mente. E prima, sappi, che vagando