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Pagina:Luigi Barzini. Sotto la tenda.djvu/73

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L’ombra saliva dalla valle del Lukkus già sommersa nella notte. Al di là del fiume la vetta d’una collina, più vicina e più grande delle altre, splendeva all’ultima luce del sole; quel luogo è un nido di leggende paurose. Nessun arabo vi andrebbe dopo il Moghrib; fra le sue boscaglie si celano rovine singolari che la fantasia orientale popola di spettri sono rovine nostre. Se vi appaiono fantasmi, essi debbono portare una toga o una corazza romana. Diciotto secoli or sono gli ultimi raggi di questi tramonti accendevano sopra quella vetta le superbe bianchezze marmoree di Lixion, colonia della Roma imperiale. Gli arabi vanno ora a ricercarne le colonne coricate fra gli sterpi, le spezzano e ne fanno della calce, della buona calce per imbiancare la Kasbah, le moschee ei minareti. Si può dire perciò che c’è ancora qualche cosa di romano nella moderna Laraishe: il candore. Dalla riva, insieme al rombo cadenzato delle onde sugli scogli, veniva un gridìo d’infanzia che giuoca. Sporgendomi fra le aloe e i cactus assiepati sul ciglione, ho scorto ai piedi della ripa scoscesa un’antica batteria invasa da una nidiata di monelli intenti a cavalcarne i venerabili cannoni, i quali, da buoni veterani, hanno dimenticato le battaglie per far divertire i ragazzi.