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il passo di montecroce 277


feroce e fermo, spianò il fucile e cominciò a sparare, a sparare, con una rabbia fredda, come per sfida.

Un altro soldato diceva che non poteva stare in trincea. Spesso chiedeva il permesso di lasciarla. Prendeva il fucile e andava quatto quatto in piena zona nemica. Studiava i punti di passaggio, rimaneva per giorni interi immobile in appostamento. Era il cacciatore di uomini. Tornando annunziava i risultati della posta: «Ghe n’ho tabacai tre!» Per lui colpire era «tabacar». Un giorno rientrò pallido e muto nelle posizioni. «Cos’hai? Sei ferito? — gli chiesero. — Vuoi che ti portiamo?» No, volle scendere da solo al posto di medicazione. Incontrò il capitano. «Sior capitano — gli disse — i me gà tabacà anca mi!» Era stato passato da parte a parte da una palla.

Ci siamo diretti al Freikofel, contornando il rovescio del Pal Grande. Dei colpi di fucile isolati risuonavano qua e là. Non vi sono punti completamente coperti; le anfrattuosità delle rocce permettono a qualche tiratore isolato di andarsi a rannicchiare sui fianchi delle alture. Episodi di combattimento hanno disseminato il loro ricordo da ogni angolo, fuori della battaglia. L’ufficiale che ci guidava ci ha indicato sul viottolo un punto dove, passando alcune sere or sono, si sentì chiamare: «Capitano, in nome di Dio, fermatevi, non andate avanti, vi ammazzano!» Era un soldato ferito, caduto a