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278 dove il combattimento non ha soste


terra. L’ufficiale lo raccolse, lo caricò sulle spalle, e passò.

Per un’ora ci siamo arrampicati sulla spalla del Freikofel in una specie di fenditura dove il lavoro dei soldati ha saputo creare un fantastico sentiero, che la battaglia ha disseminato di frammenti di bombe, di schegge di granate, di pallottole: detriti della guerra arrivati di rimbalzo. Vi sono zone in cui tonnellate di metallo si vanno accumulando. Ci siamo trovati inaspettatamente fra casupole di pietra, che sembrano una sull’altra, quasi fossero costruite su gradini colossali di una alta e angusta scalinata. Subito dopo eravamo in un labirinto di scalette picconate nella roccia, di cunicoli, di tane: le trincee.


Tutto era chiuso, tutto era oscuro, un po’ di luce verdastra filtrava appena dalle feritoie mascherate di fronde. Si esciva curvi all’aperto per sentieri scavati nel sasso, si andava lungo barricamenti di sacchi pieni di terra, si rientrava nel buio di ridottine e di posti di vedetta. Nell’ombra, vicino alle feritoie, qualche alpino era seduto in atteggiamento di riposo, immobile, sereno, statuario, il fucile fra le gambe, un paio di granate a portata di mano, poste sopra una mensoletta, come dei bibelots e, vicino, una cassetta piena di uno scintillìo di munizioni. Pallottole austriache schioccavano ogni tanto sulle pietre, all’esterno. Si udivano i