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che lo circondano e nel quale brilla ancora di tanto in tanto l’esaltazione della lotta.

Il tumulto del combattimento, la foga ardente dell’assalto fulmineamente interrotta da una palla, l’attesa angosciata, inerte e solitaria sul campo, il trasporto all’ambulanza sotto il fuoco, la medicazione, il viaggio, tutto questo si è succeduto così rapidamente che si confonde nella sua mente febbricitante. Per qualche tempo egli stenta a districarsi dal passato. Quello che avviene è troppo poco in confronto a quello che è avvenuto. Il metallo non si raffredda subito appena tolto dalla fornace. L’anima del ferito è ancora incandescente. Un clamore di emozioni si prolunga in lui come un’eco e riempie il silenzio profondo della nuova quiete improvvisa.

Ma questa eco presto si spegne, la calma si fa anche nel pensiero, le impressioni si fissano, le idee si chiariscono, la curiosità incerta, vaga e atona dei feriti non cerca più intorno. Fra letto e letto si annodano dialoghi sommessi.


Nessuno parla della propria sofferenza o s’interessa a quella degli altri. Si parla della battaglia. «Di che reggimento sei? — Del tale fanteria, e tu? — Ah, eravate alla nostra destra. Io sono del tal altro. — Noi attaccavamo sopra San Martino. — Sì, sì, alla nostra destra. Io sono del San Michele». La battaglia li tiene tutti ancora. Il loro spirito rivive inces-