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126 tra le balze dell’adige


Nella valle pittoresca i cui nomi evocano come una fantastica galoppata di epopea, fra quei dirupi che hanno visto passare in uno scintillìo di uniformi e in un ondeggiamento di piume la prima gloria napoleonica, la quale doveva allargare i suoi clamori trionfali su tutta l’Europa, in quel grandioso scenario da battaglie, la conquista italiana è entrata veloce, annunziata dal rombo di un motore, che echeggiava improvviso fra i muri dei villaggi attoniti, rozzi e grigi, raccolti intorno al bianco stelo dei campanili, e immersi nei vigneti contro ad uno sfondo oscuro di immani rocce precipitose.


Dopo le chiuse prodigiose che Rivoli sovrasta dal suo verde pianoro, profonde come cañons, dopo quell’angusto e solenne corridoio di dirupi che stringe fra pareti a picco la serenità dell’Adige, dopo la zona delle vecchie fortezze, massicce e bianche, che dominano la gola dalla sommità di vette nude, la vallata si allarga maestosa, vigilata da ruderi di torri annidati fra dirupi giganteschi e da qualche scheletro superbo di castello, che come quello di San Valentino addossa alle rocce le sue muraglie merlate con un’aria grandiosa, severa, lugubre da castello delle leggende. Il passato ha lasciato per tutto un segno di guerra. Ad uno svolto della valle, una cittadina chiara, graziosa, arrampicata in parte tra il verde