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166 fra i torrioni delle dolomiti


accurata, lunga. Ad essa si dedica, con una volontà ferrea e una ingegnosità fertile di risorse, un ufficiale superiore che porta uno dei più gloriosi nomi guerrieri del mondo. La fiducia delle truppe è immensa.

E il loro buon umore anche. Se fossimo nelle loro trincee sentiremmo chiacchierare e ridere. Soltanto le vedette, rigide nell’attenzione, tacciono guardando per le feritoie. Di tanto in tanto dei dialoghi singolari s’intrecciano fra trincee italiane e austriache, alla notte, quando il silenzio porta lontano le voci sommesse.

Una notte una squadra nostra avanzava fuori della trincea, strisciando dietro ai sacchi di terra sospinti e rotolati. Le vedette nemiche se ne accorsero e uscirono pure dalle posizioni per poter sparare. Dei colpi di fucile risuonarono. Le due squadre rimasero in silenzio a scrutarsi nel buio. Allora un soldato torinese che parla tedesco bisbigliò da dietro il suo sacco: «Venite giù, vi trattiamo bene!» — Dopo un breve silenzio una voce dall’alto rispose, nello stesso tono: «Non possiamo, c’è l’ufficiale, dietro a noi, che ci sparerebbe addosso!»

Qualche volta i tedeschi attaccano la testata delle trincee d’approccio, per interrompere i lavori di zappa. Gettano allora centinaia di granate a mano; anzi, spesso non le lanciano nemmeno, le lasciano rotolare giù con la loro miccia accesa che fa un frullìo da trottola; si