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menti attaccati alla spalla del monte come dei nidi.

Verso le cime, da ogni parte, si vedevano arrampicati i villaggi dei rifugi, color della terra, con le loro piccole baracche che sembrano sovrapposte, minuscole cittadine a ripiani verso le quali sale un saettamento di sentieri a zig-zag. Ricordano quei fantastici conventi buddhisti che si aggrampano alle rocce sacre della gola di Kalgan. Su certe vette si sono dovute infiggere delle travi a guisa di mensole, ed erigere i baraccamenti sopra dei pianerottoli di legno sospesi sul precipizio. Si passa da un pianerottolo all’altro per delle scale. Dei gradini tagliati nella roccia portano alle trincee.

Spesso, camminando sulla cresta, un sasso si distacca, rotola giù dal ciglio e frulla nel vuoto rimbalzando più in basso sonoramente sul legno delle costruzioni, percuotendo le travature di sostegno con una violenza da proiettile. Chi si accorge che un sasso sfugge sotto al suo piede, manda giù un grido di avviso. Si sporge e, le mani a imbuto intorno alla bocca, urla: «Sassooo!» — e gli uomini nei ripiani inferiori si gettano contro la parete di roccia aspettando che la pietra sia passata.


Oltre il Quaternà, ad oriente, una vetta precipitosa e immane: il Cavallin. È precisamente una di quelle montagne a trampolino che offrono all’Italia il corrusco aspetto di una roc-