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244 la lotta dei colossi


gli zoccoli, ogni muscolo teso e fremente in un muto terrore, e precipitavano nel burrone, le zampe in aria, in mezzo ad una valanga di terriccio e di sassi. Ora l’automobile sale le stesse pendici.

La strada pare che assalti le balze; passa da una all’altra con quel serpeggiamento ascendente, serrato e folle che hanno certi razzi. Va su, va su, tagliata nel macigno; s’inerpica su delle vere pareti; sembra da lontano, in certi punti, un zig-zag tracciato sopra un muro gigantesco. Non ha parapetti ancora, è larga poco più della vettura, sovente le ruote lasciano cautamente il loro solco lieve ad un palmo dall’abisso. Sporgendosi si scorge il biancheggiare lucente e vivo dell’acqua che scorre precipitosa giù nel fondo, nell’ombra, fra macigni lavati e chiari intorno ai quali essa mette effervescenti collari di spuma. Le volute percorse pochi momenti prima salendo, sono sotto, a picco, già lontane nella profondità. Più avanti o più indietro la strada sembra sempre troppo angusta per potervi passare, e si ha l’impressione di doversi sentir slanciare da un momento all’altro nel vuoto. Ad ogni giro essa manca allo sguardo, sparisce, non è più che un taglio, una soglia oltre la quale non c’è più niente.

Strade mirabili, strade prodigiose aperte dalla guerra! Hanno nel loro tracciato stesso una violenza e un impeto, come un segno di vo-