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confusione di dorsi seghettati, di punte nude, che andavano sfumando fino a lontananze incorporee, un oceano di cime rosee e spettrali nella luce mattutina, fra le quali s’indovinavano profonde spaccature di valloni.

Il Monte Nero è la vetta culminante e centrale di una lunga catena quasi parallela all’Isonzo. Attraversato il fiume a Caporetto, che fu occupato il primo giorno della guerra, la nostra azione offensiva si trovò di fronte quella gigantesca barriera, che non ha valichi. Di colpo l’attacco scalò i contrafforti, salì per balze senza sentieri, si portò sotto le vette maggiori, a duemila metri.

Il ponte di Caporetto era stato distrutto dal nemico in ritirata. Le nostre truppe varcarono l’Isonzo su passarelle costruite dal Genio. Quattro giorni dopo, dei temporali violenti gonfiarono le acque; la piena travolse le passarelle. I piccoli reparti che operavano già sulla riva sinistra rimasero isolati. Ma andarono avanti. Il parroco austriaco di Dresniza — paesotto che si adagia tutto bianco sulle falde del Monte Nero — vedendo passare quelle prime magre schiere, senza rincalzi, senza approvvigionamenti, tagliate fuori dall’inondazione, le salutò ironicamente: «Andate pure, non tornerete indietro!». Sapeva che sulle creste dei monti il nemico trincerato aspettava in forze.

L’interruzione del transito sul fiume durò due giorni. La sera del 30 maggio un ponte